La decenza del silenzio
Sono amareggiato. Il sistema mediatico, industria dell'informazione e della "deviazione sociale", ha toccato il fondo. Un uomo, un Santo, il Padre sulla terra di tutti i Cristiani, ci ha lasciato, dopo una terribile agonia che - per motivi familiari - ho vissuto tempo fa e che conosco bene.
Il silenzio. È d'oro, ci dicono le nonne. Ma raramente le ascoltiamo. E l'ingenuità stupida di quello che ho visto in tv mi ha creato dentro questa sensazione. Già sentita con il terremoto in Asia.
Uno dei più grandi uomini del nostro tempo, uno di quelli che vivrà nel ricordo collettivo insieme a Madre Teresa di Calcutta e Ghandi, ci ha lasciato e - aggiungo - ce lo meritiamo.
Fino a ieri il mondo se ne fregava delle encicliche del Papa. Fino a ieri tutto funzionava fregandosene del male che lo logorava. Fino a ieri lui si sacrificava e continuava la sua missione divina per salvare il salvabile.
Oggi che è morto, sembra che invece non si possa più andare avanti senza di lui.
Parole, parole, parole... cantava Mina.
Talmente tante che non so da dove cominciare...
Parto dal basso: migliaia di fedeli "invadono Piazza San Pietro" (Messaggero del 2 aprile). Invadono?! Sono un'orda barbarica che prende possesso di quello che non è suo?!
Accezione negativa? Niente di più azzeccato. L'ipocrisia strisciante, un abbraccio superficiale suscitato da un falso sentimentalismo mediatico, si è consumato nelle ultime ore del Papa.
Un abbraccio di applausi e di cori, una pseudo-discrezione, un rispetto che non esiste più in questo mondo.
Tante persone, tanti conoscenti, si sono riversati lì, quando in vita loro non hanno mai messo piede in chiesa di loro spontanea volontà. E mai si sono sognati di dare veramente retta a quello che il Cristianesimo insegna. Forse sono lì per dire "io c'ero". O forse per recuperare quella distanza accumulata negli anni da un culto che i comunisti irriducibili danno per "oppio dei popoli". Gli stessi comunisti che domattina al TG vedremo pregare e prendere l'Eucarestia davanti al sacerdote. Il Corpo di Cristo.
Ma non basta.
Ore e ore di montaggi video, dirette, interviste, sondaggi, "salotti", speciali e tutto quello che riempie i vuoti tra una pubblicità e l'altra.
Lacrime versate da fedeli, preghiera e triste apprensione spezzate dalla voce di Moby e la pubblicità della solita "sgrinfia" che ci vuole rifilare il videofonino di turno.
Tutti gli occhi puntati su un uomo morente, che ha pagato a caro prezzo le centinaia di viaggi fatti intorno al mondo, e le migliaia di mani strette per dire "Dio c'è, abbiamo bisogno di lui per salvarci". Questi occhi spioni, irriverenti, stupidi e facilmente influenzati da un falso perbenismo, da un contenitore di audience e di attenzione che si piega come la più sottile delle bandiere alla prima brezza mattutina.
Dove tira il vento, tutti corrono lì.
E allora vediamo, ricordiamo, facciamoci il lavaggio del cervello su tutto quello che Papa Giovanni Paolo II ha fatto nel suo pontificato, solo perché il telecomando indugia qualche secondo in più, solo perché "fa notizia".
La spasmodica attesa della sua morte, un funerale che sui giornali è stato celebrato già 24 ore fa.
Perché tutto questo? Perché come tante scimmiette ammaestrate annuiamo di fronte ad una scena volutamente drammatizzata, volutamente "deviata" dalla realtà, e volutamente "ricamata", "baroccata" dei suoi contenuti?
Ci siamo dimenticati di quando il Papa incontrò Castro? Ci siamo dimenticati delle volte che il Papa ha detto "no alla violenza"? La risposta è no.
Ma non grazie alla stima che quest'uomo avrebbe meritato.
Solo grazie agli omogeneizzati che gli organi mediatici ci hanno propinato, omogeneizzati indispensabili al nostro cervello atrofizzato.
Che tra un mese dirà "morto un Papa, se ne fa un altro".
Il silenzio. È d'oro, ci dicono le nonne. Ma raramente le ascoltiamo. E l'ingenuità stupida di quello che ho visto in tv mi ha creato dentro questa sensazione. Già sentita con il terremoto in Asia.
Uno dei più grandi uomini del nostro tempo, uno di quelli che vivrà nel ricordo collettivo insieme a Madre Teresa di Calcutta e Ghandi, ci ha lasciato e - aggiungo - ce lo meritiamo.
Fino a ieri il mondo se ne fregava delle encicliche del Papa. Fino a ieri tutto funzionava fregandosene del male che lo logorava. Fino a ieri lui si sacrificava e continuava la sua missione divina per salvare il salvabile.
Oggi che è morto, sembra che invece non si possa più andare avanti senza di lui.
Parole, parole, parole... cantava Mina.
Talmente tante che non so da dove cominciare...
Parto dal basso: migliaia di fedeli "invadono Piazza San Pietro" (Messaggero del 2 aprile). Invadono?! Sono un'orda barbarica che prende possesso di quello che non è suo?!
Accezione negativa? Niente di più azzeccato. L'ipocrisia strisciante, un abbraccio superficiale suscitato da un falso sentimentalismo mediatico, si è consumato nelle ultime ore del Papa.
Un abbraccio di applausi e di cori, una pseudo-discrezione, un rispetto che non esiste più in questo mondo.
Tante persone, tanti conoscenti, si sono riversati lì, quando in vita loro non hanno mai messo piede in chiesa di loro spontanea volontà. E mai si sono sognati di dare veramente retta a quello che il Cristianesimo insegna. Forse sono lì per dire "io c'ero". O forse per recuperare quella distanza accumulata negli anni da un culto che i comunisti irriducibili danno per "oppio dei popoli". Gli stessi comunisti che domattina al TG vedremo pregare e prendere l'Eucarestia davanti al sacerdote. Il Corpo di Cristo.
Ma non basta.
Ore e ore di montaggi video, dirette, interviste, sondaggi, "salotti", speciali e tutto quello che riempie i vuoti tra una pubblicità e l'altra.
Lacrime versate da fedeli, preghiera e triste apprensione spezzate dalla voce di Moby e la pubblicità della solita "sgrinfia" che ci vuole rifilare il videofonino di turno.
Tutti gli occhi puntati su un uomo morente, che ha pagato a caro prezzo le centinaia di viaggi fatti intorno al mondo, e le migliaia di mani strette per dire "Dio c'è, abbiamo bisogno di lui per salvarci". Questi occhi spioni, irriverenti, stupidi e facilmente influenzati da un falso perbenismo, da un contenitore di audience e di attenzione che si piega come la più sottile delle bandiere alla prima brezza mattutina.
Dove tira il vento, tutti corrono lì.
E allora vediamo, ricordiamo, facciamoci il lavaggio del cervello su tutto quello che Papa Giovanni Paolo II ha fatto nel suo pontificato, solo perché il telecomando indugia qualche secondo in più, solo perché "fa notizia".
La spasmodica attesa della sua morte, un funerale che sui giornali è stato celebrato già 24 ore fa.
Perché tutto questo? Perché come tante scimmiette ammaestrate annuiamo di fronte ad una scena volutamente drammatizzata, volutamente "deviata" dalla realtà, e volutamente "ricamata", "baroccata" dei suoi contenuti?
Ci siamo dimenticati di quando il Papa incontrò Castro? Ci siamo dimenticati delle volte che il Papa ha detto "no alla violenza"? La risposta è no.
Ma non grazie alla stima che quest'uomo avrebbe meritato.
Solo grazie agli omogeneizzati che gli organi mediatici ci hanno propinato, omogeneizzati indispensabili al nostro cervello atrofizzato.
Che tra un mese dirà "morto un Papa, se ne fa un altro".
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